1

10 MOTIVI per cui i COMPAGNI di SQUADRA sono ESSENZIALI

420062-happy-male-swimmer

di elisincro

Possono essere grandi o piccole, di nuoto sincronizzato, di nuoto pinnato, di triathlon, possono essere agonistiche oppure no. La tua squadra è e sarà per sempre la tua squadra e le persone che ne fanno parte resteranno per sempre nel cuore: i tuoi compagni e le tue compagne sono essenziali. Abbiamo individuato i 10 motivi per cui una squadra di nuoto (e i suoi componenti) non dovrebbe mai mancare nella vita di una persona, eccoli:

  1. Una SQUADRA è una grande FAMIGLIA:

Si passano così tante ore assieme, che una squadra diventa senza ombra di dubbio la propria famiglia. Si condividono gioie e dolori, i compagni e le compagne ti comprendono sempre. Una squadra non ti giudicherà mai, anzi ti accetterà sempre per quello che sei.

  1. Sono gli unici disposti a PRESTARCI sempre quello che ci SERVE:

Quante volte ci è capitato di dover chiedere in prestito qualcosa? Almeno una volta nella vita deve esservi successo. E quante volte ci siamo ricordati di restituirle? Siamo sicuri di aver portato tutto e poi mancano cuffia / occhialini / stringinaso / shampoo / pinnette / palette. I compagni sono sempre disposti a prestarci qualsiasi cosa, anche se sanno che non la riavranno mai più! Non insisto oltre, penso abbiate capito.

  1. Senza di loro che DOCCIA sarebbe?

Quanto sarebbe noioso e stressante fare la doccia, soprattutto dopo un lungo e faticoso allenamento? I compagni di squadra invece sono sempre disposti a farti tornare il sorriso e far passare la stanchezza! A meno che non abbiano voglia di fare scherzi, allora sarebbe meglio evitarli se non si vuole qualche cuffia piena di acqua gelata in testa! Eppure anche questo fa parte del gioco.

  1. Ti aiutano quando SBAGLI

Una vera squadra sa riconoscere i propri limiti ed i limiti di ciascun componente. Non c’è niente di più bello che aiutarsi a vicenda: ognuno può svelare i propri trucchi, le proprie tecniche, i propri rituali pre-gara. Assieme si cresce.

  1. CIASCUNO è di FONDAMENTALE importanza all’interno della SQUADRA

Se manca un compagno o una compagna, la squadra lo nota, subito. Perché si ritrova in un enorme difficoltà: dover fare a meno del proprio compagno di squadra durante quell’allenamento. C’è quello che guida il riscaldamento, quello che racconta le barzellette, quella che sorride sempre, quello che contratta con l’allenatore il numero di esercizi da fare: ognuno è importante all’interno di un team. Questo fa accrescere la propria autostima! “

  1. Ti aiutano a SOPPORTARE lo STRESS pre-gara

Tutti, chi più chi meno, hanno paura prima di doversi buttare in acqua. Ma se si è in tanti ad avere paura, beh, è certamente diverso! Assieme si può ascoltare la musica, guardare le nuotatrici / i nuotatori fighi delle altre squadre, ridere, scherzare, piangere (magari anche no). Insomma senza una squadra le gare sarebbero un incubo.

  1. Le RISATE sotto l’ACQUA che ti fanno venire sono le migliori

Oh, andiamo, se non lo avete ancora fatto è assolutamente da provare! Ve lo giuro, è certificamene verificato che le risate sotto l’acqua sono le migliori! Si può ridere per qualsiasi cosa: una buffa esibizione delle proprie compagne, una virata completamente errata, una storia stupidissima che ti hanno appena raccontato. Inizi a ridere e non riesci più a smettere, cerchi di chiudere la bocca per non bere e finisce sempre che per poco affoghi.

  1. Ti SOSTENGONO quando non ce la fai più con le vasche

Un esercizio troppo duro o delle ripetute troppo pesanti? Nessun problema! I tuoi compagni saranno pronti a passare avanti e darti il tempo di riposare. A cambio però che tu faccia lo stesso con loro, sia chiaro. Oppure possono iniziare a toccarti i piedi / tirarteli / farti bere acqua, fino a quando non ritorni al ritmo giusto: mai essere disattenti! “

  1. Dalla PISCINA non esce NIENTE

In una squadra ci si ritrova a parlare di qualsiasi cosa: sogni, scuola, lavoro, ragazzi, ragazze… Ogni discorso vale! I tuoi compagni sapranno mantenere il segreto fino alla tomba. All’interno della propria squadra non si potrebbe nascondere nulla e non c’è alcun bisogno: perché dalla piscina non esce mai nulla.

  1. SENZA di loro non avresti una SQUADRA e non potresti nuotare

Ultimo, ma non per questo meno importante, anzi. Senza dei compagni, senza una squadra, non potresti nuotare. Si certo, la piscina è aperta lo stesso, ma vuoi mettere andare da soli oppure andare con dei pazzi scatenati che ti fanno ridere e divertire, che ti insegnano nuove cose e rendono meno noiosi anche gli allenamenti più lunghi? Beh, mica roba da poco!




Disabili e sport, gli ostacoli quotidiani

Dietro alle lacrime di Zanardi e il grido di Bebe Vio ci sono migliaia di disabili. Che praticano sport tra difficoltà e pregiudizi.

di Francesca Buonfiglioli

  1. P. ha nove anni ed è nato con una sofferenza cerebrale che gli ha provocato epilessia e ritardo cognitivo.
    Dopo le riabilitazioni in piscina e l’ippoterapia, da poche settimane ha cominciato a giocare a calcio. E gli piace.
    «Va agli allenamenti volentieri», racconta la mamma, «gioca con altri bambini, non è solo una terapia».
    «UN TRAGUARDO GRANDIOSO».Castel San Pietro, provincia di Bologna. Qui da qualche mese è nata la Scuola Calcio Integrata Aiac Renzo Cerè. «Lo sport aiuta tantissimo questi ragazzi con disabilità intellettiva», spiega il presidente Davide Bucci che ha ‘reclutato’ allenatori e psicologi come Elenia Poli. «Lanciare la palla a un compagno significa comunicare con lui», ha sottolineato la dottoressa presentando il progetto. «Per loro è difficilissimo già far parte di un gruppo, imparare ad accogliere la palla è un traguardo grandioso».
    Una bella storia che arriva dalla provincia, proprio dove praticare uno sport per un disabile è più difficile.

Calamai: «I disabili chiedono solo un amico con cui giocare»

Calato il sipario sulle Paralimpiadi, sul grido di gioia emozionante di Bebe Vio e sulle lacrime di Alex Zanardi, il rischio è che si dimentichino le difficoltà quotidiane che migliaia di ragazzi con un handicap devono affrontare per fare sport.
«Soprattutto quelli che non parteciperanno mai a una Paralimpiade o a un campionato», dice aLettera43.it Marco Calamai che dopo aver allenato squadre di basket in serie A, una ventina di anni fa anni ha cominciato a insegnare ai ragazzi con disabilità, mettendo insieme sullo stesso playground disabili e normodotati.
PIONIERE DELLE SQUADRE INTEGRATE. «Mi guardavano come se fossi pazzo», racconta. «In realtà avevo solo ascoltato le loro richieste: giocare con un amico più bravo o che nelle difficoltà ti sa sostenere».
Giocare con un amico. Nulla di meno e nulla di più.
«In campo servono un allenatore e qualche amico, non un terapeuta», insiste Calamai – tra le altre cose titolare di master universitari proprio su disabilità e sport – che vorrebbe una sola Olimpiade, per normodotati e disabili.
«LO SPORT NON DEVE ESSERE TERAPIA». Il problema è che siamo ancora imprigionati nei luoghi comuni. «Se ormai c’è consapevolezza dell’esistenza dei disabili», spiega il coach, «resiste ancora l’idea che abbiano sì diritto di fare sport ma come terapia. Occorre un salto di qualità. Questi ragazzi, esattamente come tutti gli altri, hanno diritto di fare sport per divertirsi. Se poi l’attività li aiuta e li fa stare meglio ben venga. Ma il fine non deve essere quello».
Oltre alle barriere architettoniche, sono queste barriere culturali che vanno abbattute: «Campioni come Zanardi sono esempi che trasmettono una grande forza. Dovrebbero parlare nelle scuole, ai ragazzi. Ma dobbiamo pensare al 99% di coloro che vorrebbero gareggiare a livello internazionale e che non potranno farlo mai perché banalmente non abbastanza bravi. La politica deve lavorare concretamente per loro».
INCARTATI NELLA TERMINOLOGIA. Invece finora ci siamo incartati nella terminologia.
Il passaggio da ‘handicappato’ a ‘disabile’ fino a ‘diversamente abile’ è stato letto come una conquista. «Ma i miei disabili», continua Calamai, «mi dicono che a loro non importa nulla di come li si chiami: oggettivamente sono handicappati. Chiedono solo di poter limitare le loro difficoltà».
E dire che la nostra legge, spiega ancora il coach, è una delle più avanzate in Europa: «Poi però spesso i ragazzi disabili restano fuori dalle classi, non partecipano alle attività, e gli insegnanti di sostegno non sono sempre preparati come dovrebbero».
UNA QUESTIONE DI ELASTICITÀ. La ricetta per una vera ‘integrazione’, anche se la parola come sempre è stata già superata da una più politically correct ‘inclusione’, è facile e a costo zero.
«La diversità è un valore», sottolinea Calamai. «Basterebbe un’ora alla settimana in cui ognuno possa fare quello in cui è più forte: sai suonare ma non sai fare di conto? Suona. Sai recitare? Recita. I compagni di classe li guarderebbero come fenomeni. Il problema è che servono elasticità e rispetto».
E come sempre servono investimenti.bebe-vio